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Pubblicità contestuale e dati first-party: due priorità per gli editori digitali di news

La fine dei cookie di terze parti nel 2024 avrà due conseguenze importanti per gli editori digitali. Dal punto di vista editoriale, li “obbligherà” ad avere una relazione diretta con i gli utenti, investendo nella digitalizzazione del processo di CRM.  Dal punto di vista del prodotto pubblicitario, favorirà la pubblicità contestuale rispetto ad altri formati.


Chi lavora nel settore dell’Editoria e Pubblicità digitale sa che l’attenzione dedicata ai messaggi pubblicitari display è andata calando nel tempo, ed è sempre più scarsa.

Siamo così abituati a vedere banner, box e pop-up che spesso non li notiamo più, o li viviamo con fastidio se interrompono il flusso di navigazione, svalutando così anche il “contenitore” in cui si trovano.

Non che sia una novità: da tanti anni le ricerche di mercato parlano della diffidenza dei consumatori – ancora di più nei segmenti dei Millennials e della Generazione Z – nei confronti della pubblicità push, poco informativa e decontestualizzata rispetto al contenuto circostante.

In controtendenza rispetto ai formati più “intrusivi”, la pubblicità native (per esempio, gli inforedazionali) ha acquisito negli anni un peso sempre maggiore nella pianificazione pubblicitaria, perché viene percepita dagli utenti come parte del contenuto organico del sito ospitante, pur presentandosi come contenuto sponsorizzato.

La fiducia dei lettori di news nella pubblicità contestuale

In una sua guida, IAB Europe conferma il peso sempre maggiore del native advertising nella strategia di comunicazione delle aziende, specie quando il contenuto sponsorizzato viene pubblicato sui siti di informazione e news.

Inserita in un contesto ritenuto affidabile come quello dei siti di news (soprattutto i siti “premium” di editori nazionali e locali), la pubblicità native incontra la fiducia dei lettori: l’84% di essi afferma di fidarsi dei brand pubblicizzati dal loro quotidiano o periodico online preferito.

Infatti, la qualità del traffico generato dalla pubblicità native risulta alta sia in termini di visitatori unici sia, soprattutto, di tempo speso e risultati. Rispetto ai più tradizionali banner, il native genera tassi di click (CTR) 8,8 volte più alti e +18% di intenzioni d’acquisto.

A ulteriore conferma di quanto sopra, una ricerca Outbrain/Lumen ha evidenziato che la pubblicità native posizionata su siti premium di news e informazione performa meglio della pubblicità sui social: + 44% di fiducia nell’inserzione, +21% di probabilità di click e + 24% di probabilità di un acquisto futuro. Questo perché il native consente di catturare il tempo dei lettori e generare azioni: ricevere maggiori informazioni, scaricare un PDF, iscriversi a una newsletter e così via.

La pubblicità native merita di essere valorizzata meglio

Le due macro-tipologie di native advertising sono:

  1. Il contenuto redazionale sponsorizzato, detto anche branded content, come gli inforedazionali, che assumono esattamente l’aspetto di un articolo della testata. In molti casi, è l’editore stesso – in collaborazione con la concessionaria e con il cliente – a creare testi e grafica, e a posizionare la pubblicità in maniera sartoriale.
  2. formati nativedistribuiti dalle piattaforme (native distribution advertising formats), come ad esempio gli spazi pubblicitari venduti ed erogati da network come Taboola, Outbrain, Nativery e, ovviamente, Google stessa. Questi spazi assumono il look & feel delle pagine ospitanti, che vengono analizzate ed interpretate dalla piattaforma ai fini di abbinare automaticamente il contenuto della pagina e lo spazio pubblicitario.

Come abbiamo scritto in precedenza, il valore di un contenuto redazionale sponsorizzato non sta solo nella reach (numero di lettori) o nel tasso di click. Esistono altri fattori importantissimi – l’autorevolezza, il radicamento sul territorio, la fiducia nel marchio – che gli editori e le concessionarie pubblicitarie dovrebbero valorizzare in termini di prezzo, evitando di vendere puramente a CPC (costo per click), o peggio ancora a CPM (costo per 1.000 impression).

Nel caso degli spazi nativi distribuiti dalle piattaforme, per gli Editori non c’è spazio di manovra in termini di pricing: il modello di monetizzazione a CPC non tiene purtroppo conto di quei fattori intangibili quali la fiducia del lettore nella testata.

Tuttavia, gli accordi con i network aiutano ad alzare la percentuale di riempimento del bacino pubblicitario, valorizzando l’inventario con tecnologie di targeting contestuale sempre più avanzate, su tutte l’elaborazione del linguaggio naturale e il machine learning. Più l’editore fa traffico di qualità, più gli utenti convertono, più network e editore monetizzano.

Il ruolo strategico dei dati first-party e della pubblicità native

La fine dei cookie di terze parti

Nel 2024 i cookie di terze parti cesseranno di esistere, in linea con le esigenze di privacy sempre più sentite dagli utenti e protette dai regolatori (già è così per Firefox e Mozilla; il mondo Google si adeguerà nel 2024).

I dati di terze parti sono quelli raccolti tramite i cookie erogati, appunto, da terzi: le piattaforme pubblicitarie programmatiche, di retargeting e real-time bidding. Questi dati vengono utilizzati per erogare pubblicità in linea con le preferenze e i comportamenti dei navigatori.

Cosa significa questo per gli editori? Perché investire nel 2023 in un CRM? E cosa c’entra la pubblicità contestuale con tutto quest0? Andiamo per ordine.

Come ha anticipato Digital4 in una disamina molto completa, le conseguenze per gli editori digitali saranno tutt’altro che banali: senza i cookie di terze parti, viene meno la profilazione degli utenti su siti molteplici e, di conseguenza, la capacità delle piattaforme di erogare la pubblicità su base comportamentale o in retargeting. Google stessa ha proiettato un calo medio del 52% degli introiti pubblicitari degli editori provenienti da programmatic, in conseguenza alla cessazione dei cookie third-party.

L’importanza dei dati first-party per la personalizzazione della user experience

Per mitigare le conseguenze dello “spegnimento” dei cookie di terze parti sulla raccolta pubblicitaria indiretta, gli editori si dovranno investire in tecnologia CRM per raccogliere  i dati first-party e utilizzarli al meglio.

I dati di prima parte, o first-party data, sono i dati degli utenti raccolti direttamente dall’editore o proprietario del sito. Questi dati, a partire dai cookie di prima parte, per arrivare ai dati dell’utente registrato, rendono possibile la memorizzazione dei parametri utili a migliorare l’esperienza dell’utente.

Gli editori dovranno quindi “rientrare in possesso dei dati dei loro utenti”. Sembra un paradosso, ma non lo è: negli ultimi 20 anni la maggior parte degli editori online si è concentrata sulla generazione e monetizzazione del traffico, senza preoccuparsi (troppo) di conoscere i propri utenti, i quali vengono invece profilati dai network pubblicitari, a partire dal primo clic sulla pubblicità.

I dati first-party dei lettori dovranno essere raccolti in un CRM in grado di dialogare con gli altri applicativi dell’editore, per personalizzare la user experience e le attività di marketing, proprie e degli inserzionisti pubblicitari.

Come avevamo scritto in un precedente articolo del blog WillBit sul tema del CRM, conoscere i comportamenti degli utenti consentirà all’editore di offrire prodotti editoriali e pubblicitari profilati – siano essi contenuti o piani di abbonamento personalizzati.

Inevitabilmente, gli editori dovranno attrezzarsi con una loro piattaforma di CRM in grado di ricevere, comprendere, incrociare e restituire informazioni preziose sugli utenti (lettori free, utenti registrati e abbonati), sugli inserzionisti e sulla pubblicità.

La pubblicità contestuale ritorna ad essere centrale

Se mettiamo in fila tutti i ragionamenti fatti, dal punto di vista del prodotto pubblicitario editori e concessionarie dovranno fare di necessità virtù e puntare di più su formati pubblicitari di qualità, forse meno impattanti dal punto di vista grafico, ma con più contenuti inforedazionali e maggiore coerenza con le pagine che li ospitano.

La pubblicità native, basata sul targeting contestuale, risponde esattamente ai criteri sopra riassunti, e soprattutto non richiede quella profilazione “spinta” degli utenti che, onestamente, è a volte inquietante.

In questo rapporto più diretto tra editori e utenti/lettori, la conoscenza delle preferenze di questi ultimi farà la differenza nella personalizzazione della navigazione, e la pubblicità contestuale sarà parte integrante di una user experience complessivamente migliore.


Per saperne di più su come WillBit può aiutare editori e concessionarie pubblicitarie a digitalizzare il rapporto con lettori e inserzionisti, contattaci qui

 

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